di Gianluca Arcopinto – Che alcuni deputati del Pd definiscano poco chiara l’esclusione del film Tortora, una ferita italiana dal Festival di Roma io la trovo cosa bizzarra, anche se un po’ c’è da aspettarselo nel caso di un Festival che fin dalla sua nascita è stato fin troppo condizionato dalla politica e dai partiti.
Che piaccia o no, un film va ad un Festival se un ristretto gruppo di persone, capitanate dal direttore, lo ritiene valido o comunque in linea con un’idea di cinema che quel gruppo intende rappresentare. E’ chiaro che nelle doti che deve avere un direttore di un festival c’è anche quella di sapersi barcamenare tra pressioni politiche e di potere, prova ne siano le innumerevoli edizioni del Festival di Venezia, ben più importante di quello di Roma, in cui in maniera quasi matematica i film in concorso sono stati divisi tra Raicinema e Medusa, con presenza fissa di Cattleya e Fandango.
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