CREMONA — «Ho passato sei mesi in carcere ma non voglio parlare della mia vicenda giudiziaria. Mi difenderò in tribunale dalle accuse ingiuste perché credo nella giustizia. Il mio film ripercorre un caso giudiziario che ha gettato un’ombra sulla magistratura italiana ma racconta anche della capacità dei giudici di riscattarsi».
Ambrogio Crespi, regista del docufilm ‘Enzo Tortora – Una ferita italiana’, intervistato da Vittoriano Zanolli, ha introdotto così la proiezione della sua opera, ieri sera al Cine Chaplin, dopo il benvenuto del titolare della sala, Giorgio Brugnoli.
Quando Tortora fu arrestato, il 17 giugno 1983, Crespi aveva 13 anni e conosceva il popolare conduttore televisivo per averlo visto nella trasmissione ‘Portobello’. Ora porta il suo film in tutta Italia, dove ha un pubblico assolutamente eterogeneo.
«Sono i giovanissimi — spiega Crespi — a rimanere impressionati dal calvario di un uomo che ha affrontato con esemplare dignità prove che avrebbero distrutto chiunque». Tortora aveva i mezzi per pagare i migliori avvocati e un partito, quello radicale, che lo sostenne e poi lo fece eleggere all’europarlamento. Un comune cittadino forse non avrebbe retto.
«I pentiti, o meglio la loro inaffidabilità sono un grosso problema per la nostra giustizia — ha commentato l’avvocato Marcello Elia —. E non parlo solo di quelli che fecero condannare Tortora». E il pm Diego Marmo che si scusò con la famiglia dell’imputato per il clamoroso errore giudiziario commesso? «E’ stata una scusa tardiva che non attenua le responsabilità dei magistrati che ancora oggi non pagano per i loro errori» ha detto Elia.
Un lungo e spontaneo applauso del pubblico ha accompagnato i titoli di coda del film e le famose e commosse parole di Tortora al suo rientro in televisione, dopo la detenzione e gli arresti domiciliari: «Dove eravamo rimasti…».
Fonte: La Provincia